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venerdì 30 dicembre 2016

Quella volta in cui la Fallaci si bevve il cervello.




Piccola premessa.
Da molti anni nutro una sorta di venerazione per quella che considero l'unica e inimitabile signora del giornalismo italiano, Oriana Fallaci. Non ho letto tutti i suoi libri, ma ne ho letti tanti quanto basta per intuire che dietro quelle righe si celava una donna dal grande carisma e da una viva intelligenza. Purtroppo però, un libro in particolare mi lascia sempre sconcertata: La Rabbia e l'Orgoglio. Scritto subito dopo la caduta delle Torri gemelle, questo piccolo volume raccoglie una serie di invettive contro l'Islam e contro gli immigrati che arrivano sulle nostre coste in cerca di fortuna, che secondo la scrittrice sarebbero tutti terroristi pronti a sottomettere l'Europa. Certo, molte cose, considerando i dolorosi fatti d'attualità (vedi la strage di Berlino perpetuata da un certo Anis Amri, arrivato proprio coi barconi) suonano come una sorta di tremendo presagio, cosa che ha portato diversi lettori a rivalutare la scrittrice di cui molti prima si facevano gioco (tra tutti vedi quella odiosa smorfiosa che risponde al nome di Sabina Guzzanti), ma altre suonano come un forte invito all'odio verso il diverso, o meglio, verso tutti i musulmani che altro non sarebbero che degli ignobili e viscidissimi guerrafondai, irrispettosi delle donne e della cultura altrui. Una sola spiegazione riesco a darmi: provocazione? Cara Oriana, se questo era il tuo intento, ci sei riuscita e come. Se non lo era, preferisco comunque pensare lo fosse.
Fine premessa.


Appena letta la prefazione il mio primo pensiero è stato : "c'aveva l'occhio lungo questa qui!". E infatti, già dal 2001, la Fallaci forse meglio di chiunque altro aveva capito quali sono i pericoli della nostra epoca, un periodo di terrore senza precedenti; però poi, leggendo il romanzo, ti rendi conto di quanto avesse il dente avvelenato la mia carissima Oriana: un continuo ripetere quanto abbia sofferto, quanto abbia lottato per la patria, lei che ha fatto la guerra, lei che non aveva le scarpe, lei che ha iniziato a lavorare a 16 anni... Avete mai avuto il piacere di parlare con uno dei vostri nonni? Sì, quelli che "ai-loro-tempi-ci-si-faceva-il-mazzo!", quelli che vi raccontano sempre le solite storie. Ecco, in La Rabbia e l'Orgoglio ci troviamo ad ascoltare nonna Oriana: sempre a rivangare il suo passato, questo libro che troppo spesso si incespica su lodi continue sul babbo, la mamma e la sua forza di donna che ha fatto la resistenza. Sì Oriana, te ne siamo tutti grati, ma perché ripeterlo continuamente? Probabilmente, passare gli ultimi anni della propria vita da sola, in esilio a New York ha provocato proprio questo: un forte odio verso dei connazionali che la rinnegano e che la deridono e la voglia di rivendicare il proprio valore di essere umano. Ma La Rabbia e l'Orgoglio non è solo questo: c'è anche un odio forte e viscerale verso i musulmani: ora, credo che al momento stiano poco simpatici a tutti questi musulmani, ma è l'odio davvero l'unica arma per combattere l'odio?
A ben guardare però, non c'è solo merda in questo libro: qui la Fallaci ci fa aprire gli occhi su quanto siamo ipocriti e ingrati noi italiani verso il nostro paese e sulla fine barbina della nostra politica.

Consigliato? Nì. Sicuramente non ve lo consiglio se vi accingete a leggere per la prima volta la Fallaci: rischiate di farvi una cattiva idea di una bella mente. Se invece conoscete già il suo talento, ve lo consiglio, ma credo converrete con me: La Rabbia e L'Orgoglio rispecchia pienamente il proprio titolo: non un lucido saggio che analizza e offre una giusta soluzione ad un problema sociale, ma un'invettiva scritta da una donna alla fine della propria carriera, accecata dalla rabbia per le ingiustizie subite e per i dolori affrontati.


domenica 25 dicembre 2016

Movie #24 Xmas Edition: Parenti Serpenti


Come potete capire dal titolo, dimenticatevi babbo natale, cani incredibilmente carini che salveranno il natale o bambini che riescono a proteggere la casa da ladri deficienti: Parenti Serpenti è l'apoteosi grottesca del Natale italiano.

TRAMA
Riunitisi nella casa paterna per le vacanza di natale, 4 nuclei familiari che annoverano al loro interno una zoccola, una nevrotica e morti di f**a vari ed eventuali, daranno il peggio di loro, fino a dimostrarsi per quello che sono davvero: degli ipocriti senza un briciolo di decenza. A rendere il tutto più evidente, sarà la proposta dei loro genitori di poter andare a vivere con uno dei figli: la prospettiva di dover sopportare il peso dei due anziani infatti trasformerà i protagonisti in dei veri e propri mostri, A far da cornice al tutto, c'è la voce di Mauro, figlio di uno dei protagonisti, che dovrà scrivere un tema sulle proprie vacanze di Natale; tema la cui lettura chiuderà il film.

VOTO:
7/10




giovedì 22 dicembre 2016

Ok, esperimento fallito.

Ok, ve lo dico chiaramente. Non so cosa sto facendo. Perdonate il mio comportamento schizofrenico. Riprendo a pubblicare qui? Sì (per ora).

martedì 16 agosto 2016

Memorie d'una ragazza (magrolina) perbene

L'ultima moda del momento è parlare di body-shaming: complice il fatto che l'Italia è un paese per giornalisti (e non solo) incompetenti (vedi il caso delle tre arciere "cicciottelle"), parlare di come evitare il body-shaming è un must-have dell'estate 2016. L'unico problema è, forse, che ci si indigna di più se ad essere vittime del body-shaming sono le ragazze abbondanti. Come ci si comporta invece in caso contrario?
Io non sono sempre stata magra. Anzi, ero una di quelle bambine con la pancia che all'inizio del 2000 (per colpa di Britney e Christina), a discapito del buon gusto, indossavano le magliettine corte che lasciavano uscire quella pancia da birra poco carina. Poi la pubertà ha fatto il suo dovere e nel giro di pochi anni sono diventata quello che sono oggi, ovvero, "un manico di scopa". A me l'ultima definizione è sempre sembrata esagerata, avendo anch'io uno specchio, ma qui non si tratta di me, si tratta di come mi vede il mondo; e perciò ogni qualvolta varco l'uscio di casa e incontro un conoscente è un tripudio di infelici uscite come la gettonatissima "ma sei sempre più magra!", o "ma stai bene?" oppure l'infelicissima " una mia amica pensa tu sia anoressica!"*
So cosa molti (ma soprattutto, ahimé, molte) di voi stanno pensando: "poveretta, si lamenta perché è magra, povera stella!". No. Io mi lamento perchè la gente ha seriamente rotto i coglioni con le sue frasette insulse. L'anoressia è una cosa seria, non un pettegolezzo da quattro soldi. Anche se fossi stata anoressica ( e lo sono stata, anche se fortunatamente avevo già superato la fase più critica prima dell'infelice uscita), una battuta del genere non mi avrebbe aiutata a guarire, anzi, mi avrebbe solo umiliata.
E allora, se Clio Zammatteo, meglio conosciuta come Clio Makeup, ha ricevuto un incredibile supporto morale dagli utenti della rete per essere stata definita "una cicciona che trucca", allora lo meritano anche tutte le ragazze magre che vengono continuamente tempestate di domande che mettono in dubbio la loro buona salute.
Il body-shaming fa male a tutti, non solo alle cicciottelle.

*nessuna delle seguenti frasi è stata (purtroppo) inventata

sabato 6 agosto 2016

Recensioni in pillole #1: Stranger Things


Netflix sforna serie su serie, successo su successo. Questo volta è il caso di Stranger Things. D'ispirazione fortemente kinghiana (passatemi il termine), i protagonisti sono 4 sveglissimi ragazzini (che ricordano parecchio i ragazzini di Stand by me) che si ritrovano a combattere con l'incarnazione del male appartenente ad un'altra dimensione. Uno di loro, Will, verrà rapito e trasportato nell'altra dimensione. Nessuno sembra capire che il caso abbia qualcosa di straordinario, eccetto per i ragazzini e per la madre di Will, interpretata da una stupenda Winona Ryder.
Un gioiellino anni '80 di solo 8 episodi che vanno guardati tutti ad un fiato, Stranger Things è la serie che non potete perdervi se amate Stephen King e l'horror degli anni '80, con un pizzico di teorie del complotto ed MKUltra. Assolutamente da non perdere.


venerdì 22 luglio 2016

La pazza gioia per la rinascita del cinema italiano.


Il 2016 sembra essere l’anno d’oro del cinema italiano. A confermarlo bastano gli ottimi risultati ottenuti da Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Non essere cattivo di Claudio Caligari: il primo pluripremiato agli ultimi David di Donatello e campione d’incassi; il secondo acclamatissimo dalla critica. Sulla stessa scia, sono però poi arrivati Veloce come il vento per la regia di Matteo Rovere e solo ultimamente La pazza gioia di Paolo Virzì, poco acclamato dalla critica e considerato alquanto commerciale (e affatto d’autore, nonostante sia stato presentato a Cannes e stia facendo incetta di candidature ai Nastri d’Argento). Sicuramente non un film al pari delle già citate pellicole di Mainetti e Caligari, ma La pazza gioia, seppur poco originale nella scelta dei temi trattati e a volte poco rispettoso del corpo delle attrici (purtroppo trovo molto “italiano” il dover per forza strumentalizzare e sessualizzare un corpo femminile), continua ad alimentare le speranze per una vera e propria rinascita del cinema nostrano, capace di regalare capolavori, ma anche tragicommedie decisamente pop, senza cadere nel trash da cinepanettone.

La tematica scelta dal regista toscano risulta alquanto ostica, seppur affatto originale: la follia. Lo spettatore si ritrova subito catapultato a Villa Biondi, una struttura che si prende cura di donne con problemi psichiatrici: niente pareti bianche da ospedale e infermieri molesti stile Qualcuno volò sul nido del cuculo; anzi, tutt’altro. Villa Biondi è più un’utopia psichiatrica, in cui ognuna delle pazienti viene consolata e assecondata nelle proprie manie, in un ambiente armonioso e quasi familiare.  Qui, conosciamo subito una delle protagoniste, Beatrice Morandini Valdirana, un’aristocratica decaduta, impicciona e impossibile da far tacere. A cambiarle la vita sarà la nuova arrivata, Donatella Morelli, una giovane ragazza, tanto misteriosa quanto malinconica, che scappa dalla realtà ascoltando costantemente Senza fine di Gino Paoli, vera colonna sonora del film. Inizialmente, le due donne non sembrano andare molto d’accordo, data la loro apparente diversità; ma in realtà, a legarle, non sarà solo la loro condizione, ma l’incredibile voglia di trovare la felicità, che se per Beatrice consiste negli abiti lussuosi e nelle cene in ristoranti costosissimi, per Donatella, ragazza ben più semplice, consiste nel poter rivedere il suo bambino. La storia inizia con il mare: soggetto più volte ripreso dai cineasti di tutto il mondo, che simboleggia, data la sua vastità la fuga provocata dalla voglia di evasione dalle costrizioni sociali. Non a caso, anche questo film ruota attorno al mare e al suo carico simbolico. Una pellicola a tratti onirica, anche grazie ai colori sapientemente saturati dal direttore della fotografia, Vladan Radovic, che strizza l’occhio al Fellini a colori di Giulietta degli spiriti. Niente di nuovo a livello stilistico insomma, in un film che prende spunto dal grande cinema retrò.

Di primo acchito si potrebbe dire che La pazza gioia sia un film che parla di riscatto sociale, con una trama che strizza l’occhio anche agli ideali femministi, con le nostre due Thelma e Louise (egregiamente interpretate da Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti), bistrattate da tutti gli uomini della loro vita, che trovano un barlume di speranza nella loro folle amicizia. In realtà, vero protagonista della pellicola è il sogno di essere finalmente libere. Forse più che di sogno, sarebbe più appropriato parlare di delirio che sfuma solo dopo dolcemente verso il sogno, fino a scontrarsi con la realtà, affatto crudele però. Sicuramente non siamo di fronte ad un capolavoro, ma il dodicesimo lungometraggio di Virzì merita di essere visto, senza pretese si intende: solo così ci possiamo godere un film che sa emozionare. Non è forse questo quello che un film dovrebbe fare?

mercoledì 20 aprile 2016

L'insostenibile pesantezza dell'essere (accollo)


Secondo Treccani, l'accòllo é:
1.
Parte di un carico che grava sul collo delle bestie o sul davanti di un veicolo a due ruote: questo cavallo ha troppo a.; mettere, dare l’a. a un barroccio, far gravare il carico sulla parte anteriore.
2.
In architettura, la parte di una costruzione che sporge in fuori, che aggetta cioè dalla linea del muro, sostenuta da mensole o altro.
3.
a. In diritto, assunzione volontaria di un impegno o di un onere: a. di un debito, di una spesa; a. di un’obbligazione, convenzione tra un debitore e un terzo, per la quale quest’ultimo assume il debito del primo.
b. Appalto di un lavoro: prendere, dare, avere un lavoro in accollo.
4.
In marina, la faccia prodiera delle vele quadre. Prendere accollo: condizione in cui viene a trovarsi un veliero quando, per apposita manovra, o per un salto di vento, o per disattenzione del timoniere, il vento investe la faccia anteriore delle vele quadre provocando il rallentamento, l’arresto e poi il moto retrogrado o l’abbattuta del veliero.

Per qualunque romano (e per molti non-romani adottati dalla città eterna), accòllo è probabilmente uno dei vostri peggiori incubi, soprattutto se è un accollo abituale e non occasionale. L'accollo vi si appiccica addosso peggio di un chewing-gum fra i capelli. L'accollo è colui che nonostante i vostri no, continua a proporre uscite. L'accollo è colui che prova in tutti modi di instaurare un contatto fisico con voi, nonostante voi vi rifiutiate addirittura di dargli una pacca sulla spalla. L'accollo è quello che vi chiama perché ha voglia di sentire la vostra voce anche quando siete a chilometri di distanza (a farvi gli affari vostri. L'accollo è lo Spongebob di ogni Signorina Puff. E sapete qual è la cosa bella? Che a sentirsi stronzo è sempre l'accollato, perché caratteristica principale dell'accollo è lo sguardo triste e i modi da persona a cui è stato spezzato il cuore.
ACCOLLI DI TUTTI IL MONDO! Abbiate un po' di rispetto per voi stessi e smettetela di inseguire persone che non vi capiscono/apprezzano/boh, avranno altro a cui pensare.
ACCOLLATI! A voi vanno i miei più sinceri incoraggiamenti a non smettere di lottare per la vostra libertà e l'invito a troncare ogni rapporto che potrebbe diventare stalking.

giovedì 31 marzo 2016

Classici #2: Maestro e Margherita


Finalmente, ho avuto il piacere di leggere questo meraviglioso libro dopo averne sentito tanto parlare. Maestro e Margherita può essere senza dubbio considerato un importante classico moderno, anche se, a mio umile avviso, non uno tra i più grandi classici di tutti i tempi. A togliere al romanzo questo primato, sono varie incongruenze fattuali della narrazione, dovute probabilmente alla sua lunga e travagliata stesura, durata ben 12 anni (1928-40). A renderlo invece unico nel suo genere è la trattazione di uno dei più ricorrenti topos letterari e non solo: la lotta tra il bene e il male. L'originalità, se ve lo steste chiedendo, sta nello sfumarne i contorni. Cosa è bene? Cosa è male? Perché a tratti Satana pare l'uomo più giusto sulla terra? Ecco, dimenticavo: il romanzo ha Satana e alcuni demoni tra i suoi protagonisti.
Ambientato in una Mosca surreale, a cavallo tra gli anni '20 e '30 del Novecento (anni della NEP), con Maestro e Margherita Bulgakov si accanisce contro l'ottusa società sovietica: la maggior parte dei personaggi incontrati vengono infatti descritti (non in maniera esplicita, ma con una forte vena ironica, tipica della satira russa alla Gogol' di Le anime morte) come dei palloni gonfiati, che le incredibili circostanze sveleranno per quello che davvero sono: individui repressi e viscidi. Questo uno dei motivi principali per il quale la censura non fece uscire il libro subito dopo la morte dell'autore (1940), ma solo 25 anni dopo, a puntate, sulla rivista "Moskva".
Altro fattore interessante è che ci troviamo di fronte a un metaromanzo: il romanzo su Ponzio Pilato del Maestro è un romanzo nel romanzo a tutti gli effetti, tanto importante da prendere interi capitoli. Il romanzo del Maestro è ambiento a Ersalaim (Gerusalemme), città santa per eccellenza che si contrappone a Mosca, l'antica terza Roma, ex baluardo della religione cristiana (seppur ortodossa), adesso atea e disincantata, scossa da inspiegabili avvenimenti surreali e catastrofici. Tanti gli elementi simbolici: dalla massoneria (si pensi al nome stesso del protagonista, Maestro) alla mitologia germanica ( riferimenti alla notte di Valpurga nel capitolo 22), impossibili da decifrare alla prima lettura (mi dispiace! Se avete altri spunti, giù nei commenti!) e diversi riferimenti al Faust di Goethe.
Un libro affascinante e misterioso, al limite della follia (non per nulla molti personaggi vengono rinchiusi in manicomio!). Anche maledetto a quanto pare, considerando che 3 attori di una bellissima serie russa (qui il link: https://www.youtube.com/watch?v=xwlu5Wz-O_0&index=1&list=PL96AA3445FC8681A3) ispirata al romanzo, sono passati a miglior vita proprio dopo aver preso parte allo sceneggiato.
Fatto curioso: ricordate la canzone di Simone Cristicchi, Ti regalerò una rosa? Ecco, dopo aver letto il libro, non avrà più lo stesso significato per voi...

Fonti:
M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, Feltrinelli, 2014
http://it.rbth.com/cultura/2015/03/16/va_in_scena_il_romanzo_maledetto_35013
G. P. Piretto, Da Pietroburgo a Mosca. Le due capitali in Dostoevskij, Belyj e Bulgakov, Guerini Studio, 2013

domenica 20 marzo 2016

Artithesi: la scuola di creatività digitale



Ieri, sabato 19 marzo, non avendo un ciufolo da fare, ho deciso di andare a curiosare all'open day di Artithesi, una scuola di "creatività digitale" appena nata in quel di Roma. Ve lo dico subito: sono andata perché volevo vedere quel bell'omo di Claudio Di Biagio, che è uno dei docenti della scuola. Alla fine ne sono uscita soddisfatta perché nonostante Claudio ieri non fosse proprio un bell'omo (febbre alta e pigiama. Sì ragazzi, è venuto in pigiama.), ho avuto l'opportunità di ascoltare altri giovani professionisti del settore, che con la loro simpatia, professionalità e voglia di fare mi sono sembrati un ottimo team. Ma andiamo per ordine.

MI IMBATTO NEL VIDEO DI CLAUDIO 

Questo è il video di Di Biagio. Sì, bello e interessante. Lui, al solito, con la sua magnifica faccia di culo riuscirebbe a venderti anche un sacco di sterco, ma la cosa che mi ha convinto ad andare a sentire cosa avesse da dire sono stati i commenti:
Beh, anch'io volevo capire, seguendolo solo su Youtube (dove molto spesso, ammettiamolo, fa il cazzaro) e avendo visto solo Vittima degli eventi. Dopo averlo sentito parlare ieri, mi è sembrato, nonostante febbre, pigiama e giovane età, uno che sa il fatto suo. Senza presunzioni, ha ribadito che il suo compito non è insegnare (e questo l'ha ribadito più volte), ma trasmettere un metodo, che poi dovrà essere plasmato nelle mani dello studente creativo e promettente. La creatività non si insegna, dice giustamente Claudio, ma si può passare un metodo che possa incanalarla verso un buon processo produttivo. Ora, io non ho in mano il curriculum vitae di questo giovane regista/ youtuber, ma se già prima gli auguravo tutto il meglio, dopo aver visto il modo in cui si pone e la sua idea sul corso ( chiamasi La regia e l'idea: ordinare, produrre e promuovere l'idea creativa), credo possa essere definito un professionista senza se e senza ma. 

DECIDO DI RECARMI ALL'EVENTO...
...E ci arrivo pure in ritardo, perché se Google maps ti dice che ci puoi arrivare in 54 minuti coi mezzi, devi sapere che ci impiegherai almeno il doppio; ma dopo due anni a Roma, ancora quest'idea fondamentale non vuole ficcarmisi in testa. Per fortuna, stavano in ritardo pure loro (perché il bello di Roma è che tutta la città è ritardataria), quindi ho potuto seguire la presentazione del corso dall'inizio. A parlare per primo è stato Luca Della Grotta ( esperto in visual effects, con all'attivo una miriade di film tra cui Il divo, La grande bellezza, e Lo chiamavano Jeeg Robot. La lista completa qui: http://www.imdb.com/name/nm3326136/ ), uno dei fondatori della scuola. Ha ribadito che la creatività non si insegna. Il creativo acquisisce e rielabora, ma essere creativo non significa necessariamente riuscire ad esserlo  nel modo giusto, soprattutto se si è giovani. Per questo, uno degli obiettivi principali della scuola è insegnare, soprattutto a giovani inesperti, a produrre con quel poco che si ha a disposizione, senza apparecchiature costosissime, e riuscire a favorire l'introduzione al mondo del lavoro prima dei 35 anni. Dopo di che sono seguiti gli interventi di Marco Bersani, altro fondatore, e poi del morente Claudio Di Biagio, che oltre a quello che ho già scritto, ha descritto più o meno nel dettaglio cosa si imparerà di concreto al proprio corso (l'arte della promozione, l'uso di software come Creative Cloud, Premiere per il montaggio, etc.). Per Claudio il regista, è un direttore d'orchestra, che ha in mano molti strumenti e come collaboratori molti musicisti: la bravura sta nel saperli ben dirigere. Da questa metafora, è passato a parlare dell'importanza della musica per il regista e creativo: da qui sessioni di lezioni di sensibilizzazione alla musica, secondo lui imprescindibili dato che il regista non crea prodotti meramente visivi, ma audio-visivi. Poi altri interventi che non ci interessano perché tanto se leggete il post è per CLAUDIO DI BIAGIO. E forse, mi viene da pensare, che pure i furboni della scuola l'abbiano arruolato per attirare l'attenzione di giovani ragazzetti coi genitori dai portafogli pieni. Ma poco importa: nonostante le male lingue, i docenti della scuola, compreso CLAUDIO DI BIAGIO, sembrano capaci. 
Per maggiori informazioni, ecco il link del loro sito: http://artithesi.it/

Claudio in pigiama e signore di panza e presenza. Olio su tela.
Le solite immagini di scarsa qualità per dimostrarvi che c'ero e non ho sognato tutto.




mercoledì 16 marzo 2016

Ash è tornato...



... un po' attempato, ma è tornato.
Adoro la trilogia de La casa di Sam Raimi, ma sono soprattutto una grandissima fan di Ash Williams (Bruce Campbell), il personaggio che più si è affermato nella storia del cinema horror. Dopo aver visto L'armata delle tenebre, ho capito che il mio sogno non è trovare un principe azzurro a cavallo di un bianco destriero, ma un Ash con un Remington a doppia canna e motosega. Dopo questa breve premessa, arrivo al punto: con grande giubilo ho accolto la notizia dell'uscita della serie prodotta da Starz nel 2015, Ash Vs. Evil Dead, una sorta di continuo dell'ultimo film della Trilogia. Ci ritroviamo catapultati nel presente, Ash è palesemente appesantito dagli anni nel corpo, ma non nello spirito (è rimasto sempre il solito fenomeno da baraccone, pronto a far danni, ma anche incredibilmente capace a risolverli, più o meno). Lavora come commesso al Value Stop, trascorre le sue serata a bere e farsi le donne che riesce ad abbindolare con la storia della sua mano, persa dopo aver salvato un bambino di otto anni bloccato sui binari (certo, come no...). Però, dopo qualche tiro di marijana, fa un passo falso: legge insieme ad una prostituta dei versi dal Necronomicon. Il dado è tratto: le forza del male sono di nuovo pronte a fare a pezzi l'umanità. Riuscirà il nostro eroe a rispedirle da dove sono venute? Ad affrontare questa nuova avventura Ash non sarà solo, ma avrà al suo fianco Pablo (Ray Santiago) e Kelly (Dana DeLorenzo), due giovani colleghi del Value Stop. A rendere difficile l'impresa, non saranno solo i demoni, ma, inizialmente, anche la poliziotta Amanda (Jill Marie Jones), determinata a scoprire cosa sia successo nella casa dove ha perso la vita il proprio collega, trasformatosi in un mostro dopo essere stati aggrediti da una ragazza posseduta da un demone kandariano, e una strana donna che vuole mettere fine a questa strage, e vuole farlo liberandosi di Ash, responsabile, secondo lei, della terribile piaga che affligge il mondo.
Certo, io sarò di parte, ma ho trovato questa serie spettacolare. Forse un po' carente nel finale, ma in linea con lo spirito di Ash, che non poteva scegliere di fare altrimenti. Spassosa e splatter al punto giusto, Ash Vs. Evil Dead è da vedere non solo se sei un fan della Trilogia di Sam Raimi, ma anche se ti piace l'horror misto a un'ironia dissacrante.

sabato 27 febbraio 2016

Moving to... #3 : Irlanda

Questa volta si parla dell'isola di smeraldo: l'Irlanda. A parlarcene è Lorenzo, un ventunenne che ha deciso di trascorre 9 mesi in Erasmus a Dublino. Enjoy!

http://www.theimaginativeconservative.org/

1. Perché hai scelto di trascorrere questo momento della tua vita in Irlanda?

Perché volevo fare un’esperienza all’estero più lunga di una settimana già da un po’ di tempo. Dato che studio lingue mi sembra il minimo vivere in un paese straniero per almeno un mese, altrimenti quello che si studia è quasi inutile. In più adorando l’inglese quando ho voluto fare richiesta per la borsa Erasmus ho scelto un paese anglofono. 

2. Cosa, secondo te, rende la vita in Irlanda migliore e cosa peggiore rispetto all’Italia?

Qui mi sembra sia tutto più pulito: l’aria, le strade, i palazzi. Vivo a Dublino, e sebbene sia la capitale non è caotica come potrebbe essere Roma, è molto più quieta e per strada ci sono meno persone che fermano i pedoni, in particolare se cammini con le cuffie non ti si approcciano minimamente. Peggiore, però, direi che è il costo della vita e il continuo vento misto pioggia.

3. Tre difetti del popolo irlandese.

1. Non sanno cucinare granché bene (ma in confronto alla cucina italiana mi pare normale);
2. Un accento a tratti incomprensibile;
3. Ma soprattutto non salutano.

4. Ti sei mai sentito discriminato in quanto straniero (o, più precisamente, in quanto italiano?)

Dublino è una città estremamente eterogenea in fatto di etnie, e il Trinity, dove studio, rispecchia questo melting pot per cui è difficile trovare qualcuno che discrimini apertamente gli stranieri nei luoghi che frequento io. A volte capita però che mi si chieda se abbiamo questo o quello in Italia, come se fossimo un passo indietro, ma non è discriminazione vera e propria.

5. Parlaci dell’università irlandese.

Prima differenza colossale: lezioni quasi sempre da 50 minuti. Nel bene o nel male sono molto più corte delle nostre, permettendo così di essere concentrati durante tutta la durata della lezione. C’è da dire però che in quanto considerati adulti c’è bisogno di molto studio autonomo: bisogna studiare tutte le dispense che il professore distribuisce o fornisce online prima che la lezione si svolga, così che poi in classe si possa fare un’analisi più approfondita della questione anziché avere un docente che parla tutto il tempo (o comunque questa cosa succede nella maggior parte dei corsi). Poi qui sono fissati con i saggi, da 1000 a 4000 parole a seconda della materia e dell’argomento; a volte assegnati per la metà del corso, a volte come esame finale. La cosa peggiore (a parer mio) è che gli esami ci sono solo a Maggio, tutti concentrati in 3-4 settimane (i cosiddetti finals) che per noi che abbiamo minimo tre sessioni di esami e che possiamo rimandare l’esame alla sessione successiva è qualcosa di assurdo.

6. La burocrazia è davvero più efficiente o è solo una leggenda?

Direi un onesto “Ni”. Dipende molto dai docenti, ci sono quelli che ogni settimana inviano e-mail agli studenti ricordando le lezioni, i compiti, se dovesse saltare la lezione, se cambia ricevimento etc., etc., ma ce ne sono anche altri che non rispondono alle mail per mesi. E ovviamente la lentezza per correggere gli esami è come la nostra.

7. Sei soddisfatto dei servizi offerti al cittadino (trasporti, sanità, ecc.)? Quanto costa un abbonamento mensile ai mezzi pubblici?

Direi che c’è un onesto rapporto qualità/prezzo: i mezzi costano molto ma funzionano bene, ad esempio le linee del tram hanno un treno ogni 3-6 minuti e i treni ci sono ogni 15 circa. La pecca è che un abbonamento mensile solo per il tram viene intorno ai 60€ per gli studenti, per i treni è di circa 100€ e per i bus 110€; assurdo per noi romani che paghiamo un mensile per tutti i mezzi neanche 40€ (però la qualità la conosciamo tutti - Mi intrometto: in realtà no, non la conosciamo tutti non abitando tutti a Roma, ma vi vengo in aiuto io. Posso affermare che i mezzi romani sono qualcosa di insostenibilmente obbrobrioso: ritardi, guasti, cambi improvvisi di tragitto e vetture che si perdono i pezzi.). Per la sanità ne so poco perché (per fortuna) non ne ho avuto bisogno, ma mi è stato detto che tutti preferiscono andare in cliniche private perché quelle pubbliche sono lentissime con le richieste (si potrebbe stare in lista di attesa anche 4 anni).

8. Ti senti sicuro per le strade irlandesi? 

Essendo un maschio bianco abbastanza piazzato posso sinceramente dire che non mi faccio problemi a camminare in giro da solo di notte. Tuttavia Dublino mi sembra una città abbastanza tranquilla, magari le zone con molti pub potrebbero scaldarsi un po’ la sera, però nulla di terribile.

9. L’abitudine tipicamente irlandese a cui proprio non riesci ad abituarti?

Stare in giro tutto il giorno. A quanto pare qui il concetto di riposo è molto diverso dal nostro: fanno quasi tutti sport (anche più di uno) quindi sono sempre fuori casa, dalla mattina alla sera, spesso anche la maggior parte del weekend. Sarò un poltrone e mi stresso solo a vederli girare come trottole.

10. Cosa consiglieresti ad un/a ragazzo/a che desidera seguire il tuo esempio?

Sappiate adattarvi a tutto. Portate l’Italia e la vostra cultura con voi, ma non mettetela davanti a tutto. Apritevi a nuove prospettive, cambiate routine, fate cose nuove, perché altrimenti potevate stare a casa.


domenica 7 febbraio 2016

Movie #23: The Revenant - Redivivo


Ho finalmente visto The Revenant - Redivivo. Non vi nascondo che avevo grandi aspettative, ma avevo dimenticato che il regista fosse Alejandro Iñárritu, che avevo già conosciuto grazie a Birdman,  strano film del 2014 (come potete ben capire non mi aveva fatto impazzire).

The Revenant - Redivivo è un film del 2015 diretto da Alejandro Iñárritu, con Leonardo Di Caprio e Tom Hardy, basato sull'ominimo romanzo del 2002 (The Revenant: A novel of revenge) di Michael Punke, liberamente ispirato alla storia di Hugh Glass, un trapper statunitense abbandonato in fin di vita dai compagni durante un'esplorazione (storia da cui è tratto anche il film del 1971 Uomo bianco, va' col tuo dio!).

Devo dire che il film l'ho trovato abbastanza deludente, soprattutto per via di quel fottutissimo finale aperto, la stessa cosa che mi ha fatto rimanere malissimo per Birdman. Adesso, io non ho niente contro i finali aperti ( a volte possono risultare addirittura piacevoli), ma dopo 2 ore di peripezie, sofferenze, cavalli sventrati e neve, IO VOGLIO SAPERE CHE FINE FA 'STO DISGRAZIATO.
Poi, diciamolo, se Leonardo Di Caprio vincesse l'Oscar per questo film, sarebbe la più grande offesa alla carriera di questo grande attore. Per la maggior parte del tempo non fa che grugnire, lamentarsi, digrignare i denti e nascondersi. Sì, sicuramente grande mimica facciale, ma nient'altro. Secondo me il personaggio non risulta ben caratterizzato, capiamo qualcosa di lui grazie ai flashback, ma sempre troppo poco. Uniche cose positive sono gli scenari (una natura fredda, vasta e incontaminata) e le riprese di taglio quasi documentaristico, cose che si possono apprezzare fino alla fine solo su grande schermo (ero tentata di comprare il DVD a metà film, ma considerando che l'uniche cose che mi piacciono sono quelle che ho appena detto, servirebbe a ben poco). Probabilmente non sarebbe stato poi così male se fosse stato interpretato e diretto da artisti emergenti, ma da professionisti ci si aspetta performances nettamente superiori. Grandioso sul piano estetico, ma la sceneggiatura non convince.
VOTO: 7/10

giovedì 28 gennaio 2016

Movie #22: Joy



Joy è un film del 2015 diretto da David O. Russell, basato sulla vita dell'inventrice del Miracle Mop (ebbene sì, nessuna scoperta scientifica, filosofica o cose simili: è la vita dell'inventrice di un mocio che si strizza da solo. L'incarnazione dell'American Dream!), Joy Mangano. Sembra già un film da bocciare, e invece sorprendentemente si salva in calcio d'angolo. Perché? Perché Jennifer Lawrence è riuscita a trasformare una donna che ha inventato un mocio in una cazzutissima gangster che lotta con tutte le sue forze per diventare una donna d'affari affermata! La storia ci viene raccontata dalla nonna di Joy, Mimi, che la sprona sin da bambina a non smettere mai di credere nei suoi sogni; e tra un matrimonio fallito e due figli, una madre che vive in una soap-opera (tra l'altro geniale: io proporrei uno spin-off!) e una sorellastra cattiva, Joy diventa una sorta di Cenerentola moderna e femminista, che non si realizza grazie al matrimonio con il principe, ma lavorando sodo, tirando fuori gli attributi e conquistando l'amicizia di un pezzo grosso della QVC  (in questa favola moderna la fatina buona è interpretata da Bradley Cooper) . A far brillare il film, oltre Jennifer Lawrence, ci sono degli attori eccezionali come Robert De Niro, il già citato Bradley Cooper, Isabella Rossellini e Dasha Polanco. Certo, il finale mi è sembrato un po' troppo affrettato, come se il regista avesse pensato: "oddio s'è fatta una certa, meglio se la chiudiamo qui!", e anche un po' paraculo: finisce esattamente come dovrebbe finire, e siamo tutti felici e contenti. Un film niente male, ma sicuramente non da Oscar. Nonostante questo, consigliatissimo se volete passare una serata piacevole.

mercoledì 27 gennaio 2016

Ceneri alle ceneri

Ceneri alle ceneri è una pièce del 1996, scritta dal premio Nobel Harold Pinter. Un uomo e una donna, Devlin e Rebecca, entrambi 40enni, probabilmente sposati (ma non ci è dato saperlo), dialogano in una stanza. I dialoghi sembrano mancare di logica, lo spettatore si sente pervadere da un crescente senso di straniamento al sentir Rebecca parlare di un suo presunto e violento amante, a cui lei chiese "Put your hand round my throat" (mettimi le mani intorno al collo) . E poi viene evocata l'immagine di una fabbrica, dove i lavoratori, non adeguatamente equipaggiati per affrontare il clima gelido, provano profonda soggezione per il "capo".I dialoghi si fanno ancora più insensati, fino ad un climax che termina così:


La tragedia umana vista sotto forma di tragedia del linguaggio. Per citare T. W. Adorno:
 “Dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d'arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago, in una specie di no man's land filosofica”.